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LA RELAZIONE D’AIUTO

LA RELAZIONE D’AIUTO

 

Nella vita, spesso, abbiamo timore del dubbio, della paura, della sofferenza e così, anziché chiederci chi siamo, chi vogliamo essere e che cosa ci appassiona, ci perdiamo nella frenesia, nel conformismo, nella compiacenza, nell’apatia diventando inconcludenti ed irritabili oppure lamentosi e indolenti rimanendo, così, bloccati in un disagio senza vie d’uscita. A questo punto, la relazione d’aiuto si inserisce come cultura dell’opportunità, del cambiamento e della possibilità.

La relazione d’aiuto non dipende solo dalle tecniche: in terapia vale ciò che sei più di che ciò che dici. Nella relazione d’aiuto terapeuta e paziente danzano assieme con un ritmo alchemico che si crea tra i due, così ognuno cambia con l’altro all’interno di un processo trasformativo che lega intimamente terapeuta e paziente.

Il cambiamento infatti avviene solo nella relazione tra due persone che, incontrandosi, mutano. Il focus del terapeuta deve sempre essere sia sul paziente sia su se stesso. Occorre sempre che il terapeuta metta al setaccio la propria visione delle cose e il proprio percorso di crescita spirituale. Il paziente cambia all’interno di un percorso dialogico, cambia per uno stare con lui.

La diagnosi spesso è un modo per definire l’altro in modo arbitrario e a volte poco utile: molto meglio, per il terapeuta, porsi in una posizione di ascolto autentico e profondo per individuare fragilità che non emergono dalla diagnosi e risorse finalizzate ad individuare vie di compensazione.

La vera diagnosi così si rapporta sempre al qui ed ora della relazione.

Come è inutile cercare diagnosi così è inutile combattere i sintomi e dare spiegazioni. Il sintomo ci chiede di esaminare ciò che la coscienza fa fatica ad accogliere; il sintomo ha voce e va ascoltato, visto, respirato, interrogato e mai evitato o eliminato. La malattia sia biologica che relazionale è sempre l’effetto di un processo di elusione: ogni qualvolta medicalizziamo l’intervento clinico potremmo mettere a tacere la domanda di senso che è dietro ogni sintomo.

Il sintomo inoltre è un’occasione per ascoltare i desideri più intimi e per comprendere se e come siamo sulla strada giusta per il conseguimento di ciò che desideriamo e vogliamo. Per guarire è fondamentale ritornare alla lentezza, all’ascolto di se stessi per contattare profondamente le scelte fatte ed evitate. Ogni sintomo ha un’intenzione positiva che va individuata e compresa altrimenti diviene un’opposizione interna nel processo di cambiamento.

La relazione d’aiuto non è un agire sull’altro per agire un cambiamento, ma uno scambio autentico dove il sincronismo tra dare e ricevere, espandersi e ritirarsi presenta una bella fluidità.

Il terapeuta che aiuta senza voler troppo aiutare, permette al paziente di avere un atteggiamento di responsabilità verso la propria vita senza sempre colpevolizzare il destino o gli altri. Ogni pensiero, parola, costruisce il mondo in cui viviamo. Il mondo esterno rispecchia ciò a cui diamo importanza dentro di noi: se abbiamo paura incontreremo qualcuno che ci aggredisce, se siamo adirati incontreremo sempre qualcuno pronto a scontrarsi con noi. Non siamo mai vittime innocenti: solo se ognuno pone la vita nelle proprie mani potrà agire dei cambiamenti. Mai si aiuterà l’altro forzatamente e soprattutto pensando di aiutare solo se stessi: aiutare è aiutarsi.

Nietzsche scriveva “Solo chi ha il caos dentro di sé può generare una stella danzante”… Dolore, angoscia, disagio, confusione possono divenire occasione per avviare un percorso di consapevolezza, di trasformazione interiore. La guarigione spesso ha inizio quando giunge una malattia. Il dolore va accettato, accolto, attraversato e ciò ci consentirà di essere nella possibilità di vivere la via della trasformazione-guarigione che prevede sempre l’ausilio della creatività.

Il grande dramma per l’uomo non è, pertanto, la malattia-sofferenza ma il tradire se stessi, indossare una maschera e non chiedersi mai a cosa serve la propria vita. Il malessere pertanto, rappresenta un possibile appello di chi non vuole più accettare che tutto ciò che accade sia un’abitudine scontata, di chi non vuole più accettare il suo falso sè e desidera così transitare in uno stato di autenticità o vero sé. La persona in via di guarigione esprime la propria natura senza contraffare nulla; per guarire non occorre eliminare la maschera ma riconoscerla e usarla consapevolmente secondo gli scopi che si desidera perseguire.

Il terapeuta non prescrive nessun cambiamento, ma accetta in maniera incondizionata senza legittimare, osserva senza condannare. Tutto ciò che non è accettato si amplifica. Occorre aiutare il paziente ad accettare il problema, altrimenti questo diverrà irrisolvibile. Per guidare l’altro nel cambiamento occorre entrare in empatia con lui, mettersi nei suoi panni, guardare il mondo con i suoi occhi pur rimanendo ancorati al proprio modo di sentire e valutare. Il terapeuta inoltre deve saper discernere quando è il momento di parlare e quando è il momento di tacere.

Nell’incontro terapeutico occorre fare domande che presuppongano risposte significative per la nostra unicità. Le domande appropriate aiutano il paziente a rivisitare se stesso, il proprio mondo interiore e il problema che crede di voler affrontare per approfondire aspetti non del tutto elaborati. Le domande giuste aiutano il paziente ad aprirsi, a raccontarsi senza sentirsi giudicato.

Il terapeuta inoltre può consigliare e aiutare l’altro ad aprirsi per esaminare in modo più flessibile il delinearsi di nuovi mondi possibili e mai pensare di sostituire la mappa cognitiva del paziente. Il terapeuta condivide, non cerca difese di ruolo, non innalza nessuna barriera per nascondere la sua fragilità: solo chi sa esporsi nella propria nudità può essere capace di aiutare chi si nasconde nella propria maschera a ritrovare il proprio vero Sè.   

Il dialogo è apertura al possibile: la relazione d’aiuto, così, è un viaggio verso l’autenticità, verso la riappropriazione di se stessi. 

Non serve spiegare ogni cosa, interpretare tutto, perché il mistero è più grande di ogni nostro tentativo di capire e spiegare ogni cosa. Il cambiamento è un atto sociale, si comincia da sé per non fermarsi a se stessi: le ferite uniscono gli uomini e la loro possibilità di trasformarsi.

 

dott.ssa  Carmela Maroccia
Psicologa clinica
0883 400060

 

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